In Italia, il rischio povertà cresce, anche tra i lavoratori. È il fenomeno dei cosiddetti working poors, sottovalutato ma fortemente insidioso per il futuro del lavoro. A rischio, il 12% dei lavoratori italiani contro una media europea del 9,6%. I più esposti: lavoratori autonomi e dipendenti a tempo determinato. Tra le cause, contratti di lavoro non standard, mancanza di politiche specifiche, scarsità di competenze e formazione.
In Italia, il 12% dei lavoratori è a rischio povertà. Lo si legge nel “Thematic Report on In-work poverty, Italy 2019” a cura di ESPN- European Social Policy Network della Commissione Europea. Siamo di fronte al fenomeno dei working poors, la sempre più ampia quota di lavoratori, poveri nonostante il lavoro. A versare in questa condizione, nel 2017, un italiano su sette.
Il dato preoccupa: dal confronto tra i Paesi membri UE, l’indicatore “rischio di povertà lavorativa” (IWP) – definito attraverso la combinazione delle condizioni economiche di un individuo e della sua famiglia – ha registrato valori relativamente elevati. Il Paese ha fatto segnare il quarto IWP più alto d’Europa, dopo Romania, Spagna e Grecia, con un valore del 12,3% contro una media europea del 9,6%. Il rischio, nel periodo 2012-2017, è aumentato di 1,2 punti percentuali e la tendenza non accenna ad arrestarsi.
- FATTORI TRAINANTI
1.Occupazione non standard
Tra i principali fattori alla base del fenomeno, le carriere occupazionali frammentate, frutto della diffusione di accordi a tempo determinato declinati nella formula part-time e connessi a retribuzioni minime. I dati parlano chiaro: 4,3 milioni di rapporti di lavoro su 14 milioni (il 28%) prevedono una salario inferiore ai 9 euro lordi l’ora, al di sotto delle soglie minime di retribuzione oraria. La situazione non migliora: da 40 anni a questa parte, le fasce di popolazione più ricca hanno visto crescere il proprio reddito da lavoro del 99% mentre, in quelle più povere, la crescita si è fermata al 69%.
2.Composizione familiare
Tra i fattori che concorrono all’aumento del rischio di povertà lavorativa, anche la composizione familiare. Come dimostrato, l’IWP cresce rapidamente con bambini a carico o quando l’intensità di lavoro familiare è bassa: stando a quanto riportato dalla Commissione, nel 2017 in Italia, l’incidenza di IWP è stata del 16,5% tra le famiglie monoparentali; 25,3% tra i lavoratori monoparentali con figli a carico; 6,8% tra i lavoratori che vivono con almeno un altro adulto ma senza figli a carico; e il 14,2% tra i lavoratori che vivono con almeno un altro adulto e con figli a carico.
Pertanto, è possibile affermare che il tasso relativamente alto di IWP registrato in Italia è strettamente connesso ai due fattori sopra elencati: l’intreccio tra i bassi salari percepiti da un’alta percentuale di lavoratori e il limitato numero di destinatari di reddito da lavoro in numerose famiglie, espone l’Italia ad un rischio maggiore rispetto a quello registrato in media in Europa.
3. Istruzione
Da non sottovalutare, poi, il tema istruzione, caratteristica individuale inevitabilmente intrecciata con l’occupabilità e i guadagni percepiti. Tra i tanti, ad oggi, risulta essere l’unico fattore in grado di contrastare l’incremento del rischio di IWP. Rispetto alla variabile, nel 2017, i valori sono fortemente diminuiti in linea con l’istruzione: secondo gli analisti dell’istituzione europea, per chi possiede al massimo un titolo di istruzione secondaria inferiore, il rischio si attesa al 20,9%; per chi, invece, ha un livello di istruzione secondaria superiore o istruzione terziaria, i valori scendono rispettivamente al 9,8% e al 5,3%.
Centrale nelle dinamiche alla base del fenomeno dei working poors è il problema della mancanza di competenza e di formazione. Il mercato del lavoro si sta polarizzando: da una parte c’è chi, grazie a sistemi di formazione continua, riesce ad avanzare; dall’altra, chi è destinato a rimanere indietro poiché poco aggiornato e quindi difficilmente in grado di tenere il passo in un contesto perennemente in evoluzione. Un esempio calzante è rappresentato dal settore manifatturiero che, negli ultimi decenni, pur mantenendosi abbastanza stabile, registra un declino del numero di occupati.
4. Politiche
A complicare il quadro, la mancanza di politiche specifiche che mirino alla risoluzione del problema. Sebbene rilevante, il fenomeno dei working poors non sembra comparire tra le priorità della politica italiana. La maggior parte delle misure indirizzate al mondo del lavoro, infatti, si è concentrata su questioni connesse alla precarietà del lavoro, alla disoccupazione e ai rischi di povertà, tralasciando il rischio di povertà lavorativa. Alla base delle scelte della politica economica nazionale, l’idea che il raggiungimento di un buon tasso di occupazione, da solo, possa bastare per scongiurare il pericolo povertà. Ma, alla luce dei fattori emersi, risulta necessario e urgente intervenire su tematiche trasversali al lavoro, quali: l’incremento dei guadagni individuali, il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, l’aumento del numero di destinatari di reddito all’interno delle famiglie più svantaggiate attraverso, ad esempio, la predisposizione di misure atte all’incremento dell’occupazione femminile.
- POPOLAZIONE A RISCHIO
1.Dipendenti a tempo determinato.
Rispetto al rischio IWP si registra un ampio divario tra dipendenti a tempo determinato (22,5% nel 2017) e dipendenti con contratti a tempo indeterminato (7,8%). Un dato non trascurabile per l’Italia se si considera che, rispetto a numerosi Paesi europei, è caratterizzata da una percentuale molto ampia di lavoratori autonomi. Secondo i dati di Eurostat Labor Force Survey (LFS), nel 2017, in Italia, la quota di lavoratori autonomi rappresentava il 21,1% del totale contro il 13,9% nell’UE-28. Differenze si riscontrano anche tra lavoratori a tempo parziale (18,6%) e lavoratori a tempo pieno (11,1%). Da segnalare che, la percentuale di lavoratori a tempo parziale che affermano di non aver scelto questo tipo di soluzione è molto più elevata in Italia rispetto all’Unione Europea (47,4% contro il 26,9% UE).
2.Lavoratori di sesso maschile.
Il rischio IWP in Italia nel 2017 è stato più elevato per gli uomini (13,4%) che per le donne (10,6%), nonostante le lavoratrici, generalmente, percepiscano salari più bassi. Alla base del divario, la persistenza in Italia, di un modello di famiglia patriarcale in cui è ancora il capofamiglia maschio l’unico beneficiario di reddito, soprattutto nelle regioni meridionali. A confermarlo il basso tasso di occupazione femminile: nel 2017, 48,9% in Italia contro una media UE del 62,4%.