L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha trascinato la società e l’economia italiane dalla più grave crisi nella storia repubblicana. Svimez, nel Rapporto “L’economia e la società del Mezzogiorno” 2020, ha analizzato gli effetti economici del lockdown sui territori.
Con la pandemia da Covid-19, l’economia e la società italiane sono state colpite da uno shock senza precedenti nel mezzo di una stagnazione ventennale e senza aver ancora riassorbito – soprattutto nelle sue regioni più deboli – le perdite di prodotto e occupazione sofferte con l’ultima grande crisi.
L’emergenza si è abbattuta così, su venti anni di ritardi strutturali, di mancata crescita e di aumento delle disuguaglianze tra individui, imprese e territori artefici del “doppio divario” dell’Italia dall’Europa e del Sud dal Nord del Paese.
La prima ondata della pandemia ha avuto per epicentro il Nord. La crisi economica si è però presto estesa al Mezzogiorno dove con più drammaticità si è tradotta in emergenza sociale incrociando un tessuto produttivo più debole, un mondo del lavoro più frammentario e una società più fragile.
La seconda ondata si è abbattuta su tutto il territorio nazionale interessando direttamente anche il Mezzogiorno. All’emergenza economica e sociale già sperimentata nella prima ondata si è perciò sommata, nella parte finale dell’anno, l’emergenza sanitaria generata dalla pressione sulle strutture ospedaliere e, più in generale, tutto il sistema di cura. Il rischio scongiurato nella prima ondata di esporre il debole sistema sanitario meridionale all’onda d’urto del coronavirus è così diventato una triste realtà, nonostante fosse atteso un ritorno della pandemia.
L’emergenza sanitaria si è presto tradotta anche in crisi economica e sociale. Si è trattato di uno shock congiunto di domanda e offerta, per effetto, rispettivamente, del calo della domanda dei servizi di logistica, trasporto e viaggi, e del blocco delle relazioni tra imprese coinvolte nelle catene globali del valore. Con pesanti ripercussioni che hanno progressivamente rese incerte le tempistiche di approvvigionamento, compresso il fatturato, intaccato il capitale circolante, compromesso la liquidità e, da ultimo, costretto molte imprese italiane, soprattutto quelle più esposte sui mercati internazionali, a contrarre l’occupazione.
A livello territoriale, il blocco ha interessato maggiormente le regioni del Nord in termini di valore aggiunto (49,1%, quasi 6 punti percentuali in più rispetto al Centro e al Mezzogiorno). L’impatto è stato invece più omogeneo in termini di occupati e fatturato tra Nord e Mezzogiorno, mentre in termini di unità locali, le differenze territoriali si ribaltano, segno di una maggiore parcellizzazione del tessuto produttivo nel Mezzogiorno dove le unità locali interessate dal lockdown raggiungono quasi il 60% a fronte del 56,7 e del 57,2% rispettivamente nel Centro e nel Nord.
Un mese di lockdown è «costato» quasi 48 miliardi di euro, il 3,1% del PIL italiano, oltre 37 dei quali «persi» al Centro-Nord e quasi 10 nel Mezzogiorno; 788 euro pro capite al mese nella media italiana, oltre 1000 euro al Nord contro i quasi 500 al Sud.
In Italia sono stati interessati dal lockdown il 34,3% dei dipendenti e il 41,5% degli indipendenti.
Al Nord l’impatto sull’occupazione dipendente è risultato più intenso che nel Mezzogiorno (36,7% contro il 31,4%), soprattutto per l’effetto della concentrazione territoriale di aziende di maggiore dimensione e solidità.
Viceversa, la struttura più fragile e parcellizzata dell’occupazione meridionale si è tradotta in un lockdown a maggiore impatto su gli occupati indipendenti (42,7% rispetto al 41,3% del Nord e al 40,2% del Centro).Sono stati circa 2,5 milioni i lavoratori indipendenti interessati dal lockdown: oltre 1,2 milioni al Nord, oltre 500 mila al Centro, quasi 800 mila nel Mezzogiorno. Si è trattato in larga parte di autonomi e partite iva: oltre 2,1 milioni, di cui 1 milione al Nord, oltre 400 mila al Centro e quasi 700 mila nel Mezzogiorno.
Rapporto SVIMEZ 2020:_L’economia e la società del Mezzogiorno