Il Meridione arranca e il gap economico tra le due macro-aree del Paese continua ad allargarsi. È la drammatica situazione disegnata dal Rapporto Svimez 2019: produttività sostanzialmente in stallo, occupazione giovanile al più basso livello in Europa, povertà assoluta in aumento. Si riaffaccia lo spettro recessione.
La vecchia Questione Meridionale sembra prendere di nuovo forma. Povertà, arretratezza, disoccupazione, produttività in stallo continuano ad affliggere il Mezzogiorno, ancora incapace di superare la crisi del 2008 e oggi costretto a far di nuovo i conti con lo spettro della recessione. È questa la drammatica fotografia scattata dal Rapporto Svimez 2019 “L’economia e la società nel Mezzogiorno“. Sotto il profilo economico, il Sud stenta a crescere: il gap di reddito, di competitività e di occupazione tra le due macro-aree del Paese si fa sempre più ampio. Ad aggravare un quadro fortemente negativo, la dequalificazione del mercato del lavoro, protagonista di dinamiche del tutto divergenti tra il Sud e il Centro-Nord del Paese: i tassi di lavoro a bassa retribuzione aumentano, il fenomeno dei working poors si espande e la quota di famiglie in condizioni di povertà assoluta cresce di anno in anno.
- L’andamento economico del Mezzogiorno e i divari con il Centro-Nord
Come verificatosi nel 2016 e nel 2017, anche nel 2018 il Sud ha fatto registrare una crescita del prodotto inferiore al resto d’Italia: il PIL ha subito un incremento minimo del +0,6%, mostrando una tendenza negativa rispetto all’anno precedente (- 0,4% dal 2017).
L’apertura del divario tra il Mezzogiorno e il Centro-Nord è anzitutto da imputare al ristagno dei consumi: il Sud si ferma ad un incremento del +0,2%, contro il +0,7% fatto segnare dal Paese. Se il Centro-Nord è riuscito a raggiungere e superare i livelli pre-crisi, al Sud il quadro è preoccupante: il tasso di consumi 2018 risulta essere ancora inferiore rispetto a quello registrato nel 2008 (-9 punti percentuali). Ad incidere in modo significativo sulle performance stagnanti dei consumi meridionali, il calo dei consumi privati delle famiglie e dei quelli alimentari (-0,5%).
Allarmante, poi, il lungo processo di contrazione dei consumi da parte delle Pubbliche Amministrazioni, una tra le principali cause delle divergenti dinamiche tra le due macro-aree: nel 2018, i consumi del settore pubblico fanno segnare un – 0,6%, in linea con la dinamica negativa che dal 2008 al 2018 ha condotto ad un -8,6%. Dati in netta controtendenza rispetto alle performance del Centro-Nord: basti pensare che, nello stesso periodo, i consumi delle PA Settentrionali hanno fatto registrare un incremento dell’1,4%.
Dati che sfatano il mito di un Sud che, ricco di risorse pubbliche, le perde in sprechi e inefficienze. I numeri sulla spesa per i servizi ai cittadini e alle imprese, riportati da Svimez, parlano chiaro: “La spesa pro capite delle Amministrazioni pubbliche è pari, nel 2017, a 11.309 euro nel Mezzogiorno e a 14.168 nel Centro-Nord”. Particolarmente elevati gli svantaggi su formazione, ricerca e sviluppo e sanità, con quote pro capite rispettivamente dell’80%, del 70% e dell’85% rispetto al Nord.
Resistono gli investimenti, la componente più dinamica della domanda interna nel Sud, con un +3,1% nel 2018 contro il +3,5% del Centro-Nord. Ad uno sguardo dettagliato, emergono significative differenze tra i settori: a trainare gli investimenti, le costruzioni (+5,3%), in stallo quelli in macchinari e attrezzature (+0,1%, a fronte del +4,8% del Centro-Nord) che, tra l’altro, risultano ancora inferiori rispetto a quelli della crisi.
Nonostante la lenta ripresa accomuni tutte le regioni del Mezzogiorno, gli andamenti regionali e settoriali fanno registrare un grado di disomogeneità estremamente elevato: nel quadriennio 2015-2018, Abruzzo, Puglia e Sardegna sono le regioni che, nell’area, hanno fatto segnare i tassi di crescita più elevati (rispettivamente +1,7%; +1,3%; +1,2%). Male la Calabria, unica regione in Italia, a risentire di una flessione del PIL nel 2018 del -0,3%. Il dato è da imputare principalmente alla performance negativa del settore agricolo (-12,1%) e dell’industria in senso stretto (-4,9%). Dati in controtendenza rispetto alle dinamiche positive di altri settori, quali le costruzioni (+3,8%) e dei servizi (+0,9%).
- Settori produttivi
Al Sud, il valore aggiunto nel settore agricolo ha fatto registrare una contrazione del – 2,7%. A concorrere alla decrescita del settore, non solo i fattori climatici, ma anche importanti difficoltà nell’olivicoltura e la diminuzione della produzione di agrumi. Si individuano dinamiche divergenti al Nord, in cui, la produzione agricola ha fatto segnare un +3,3%. Un settore, quello agricolo, che dà lavoro ad un’ampia fetta degli occupati del Mezzogiorno. Basti pensare che su 917mila occupati in Italia, 528 mila unità (57,5%) sono localizzate nel Meridione.
Fa ben sperare l’industria alimentare, protagonista, negli ultimi anni, di una buona performance testimoniata dal costante aumento delle esportazioni del settore. Da segnalare però che, l’export di prodotti alimentari che provengono dal Sud ha inciso solo per il 17% sulle esportazioni agroalimentari del Paese.
Per quanto riguarda il settore industriale, il 2018 ha fatto registrare un importante rallentamento rispetto all’anno precedente in tutte le aree del Paese (+1,9% del 2018 contro il +3,8%) del 2017. La stessa tendenza si è ripetuta al Sud che, tuttavia, segna una crescita inferiore rispetto al resto del Paese (+1,4% contro il +1,9% dell’Italia). A trainare l’incremento, seppur minimo, del comparto, le costruzioni anche in relazione alla ripresa degli investimenti. In questo ambito, è al Mezzogiorno che si segnala più ampia crescita: +4,5% contro un +0,7% del Paese.
Diminuisce, tuttavia, l’occupazione: – 0,2% per il Mezzogiorno, a fronte di una crescita del 1,8% nel Settentrione. Divario emerso in modo evidente lungo l’intera crisi 2008-2014. “L’industria del Sud – si legge sul rapporto Svimez – ha perso il 20% dell’intero stock occupazionale di inizio periodo a fronte di una perdita, nel Centro – Nord, di 12 punti percentuali”.
Rallenta anche la crescita dei servizi: se nel 2017, il comparto aveva fatto segnare un incremento del 1,4%, nel 2018 il dato si dimezza, con una crescita di appena +0,6%. Al Sud, inoltre, l’aumento è stata più contenuto rispetto al Centro-Nord(+0,5% contro 0,7%).
- Occupazione
A far segnare il più ampio divario tra le due macro-aree del Paese è la condizione del mercato del lavoro. Stando a quanto riportato da SVIMEZ, il gap occupazione tra Sud e Centro-Nord si riallarga: servirebbero circa 3 milioni di posti di lavoro in più per poter raggiungere il tasso di occupazione del Centro-Nord: “nella media del 2018, il Sud resta di circa 260 mila occupati sotto il livello del 2008 (–4,0% a fronte del +2,3% del Centro-Nord)”.
Da segnalare una certa disomogeneità territoriale: occupazione in calo in Abruzzo, Campania, Calabria e Sicilia, ma in consistente aumento in Molise, Puglia, Basilicata e, soprattutto, Sardegna.
Nello stesso periodo, aumenta la precarietà al Sud e si riduce nel Centro-Nord. Condizione, questa, da imputare anzitutto all’aumento delle assunzioni a termini che sempre di più incidono sul totale delle nuove assunzioni: nel Sud, il part-time cresce del +1,2%. Si nota inoltre che, nell’area, l’incidenza del part-time involontario è molto più alta che al Centro-Nord.
Segno allarmante di un mercato del lavoro che non funziona, sono i dati sul tasso occupazionale dei giovani del Sud (15-34 anni) che si attesta al 29%, dato senza paragoni in tutta Europa.
- Il fenomeno dei working poors cresce
La crescente precarizzazione, figlia di un mercato del lavoro instabile e dequalificato, sta conducendo alla significativa crescita del povertà assoluta anche tra le famiglie in cui il membro di riferimento è occupato. Situazione, questa, che, sebbene interessi l’intero Paese, è più marcata al Mezzogiorno: “nel 2018 l’incidenza della povertà assoluta sale nel Sud all’8%. Era al 7,2% nel 2017 (5,6% al Nord e 4,9% al Centro), su valori doppi rispetto a quelli del 2008.