Lo Smart Working cresce ma in modo modesto, nonostante le grandi potenzialità del modello. È molto diffuso tra le grandi aziende, mentre incontra numerose resistenze nelle PMI, in cui si registra un preoccupante grado di disinteresse. Progressi per la PA dove, tuttavia, non mancano ritardi. Questo, il quadro disegnato dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano.
Lo Smart Working è un fenomeno in rapida espansione. Si tratta di una vera e propria rivoluzione nel mondo del lavoro, nata per rispondere non solo alle esigenze delle persone, ma anche delle organizzazioni che hanno deciso di introdurlo. Eppure, non tutti sembrano in grado di comprenderne l’effettiva portata. In Italia, infatti, nonostante i passi in avanti, la dinamica di crescita è ancora moderata . Difficoltà di penetrazione si registrano soprattutto in PMI e PA. Le resistenze mostrate da realtà tanto importanti per la crescita e lo sviluppo del nostro sistema Paese, limitano il potenziale innovativo dello Smart Working che, se adeguatamente compreso e declinato, potrebbe avere impatti determinanti sia sulla modernizzazione del mercato del lavoro che sui livelli di competitività di PA e imprese.
Smart working, un fenomeno in crescita
Gli smart worker – lavoratori dipendenti che godono di flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro – sono in crescita del 20% rispetto al 2018, per un totale di circa 570 mila lavoratori. È quanto elaborato dai ricercatori dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.
I benefici
Avere la possibilità di gestire il proprio tempo e il proprio lavoro con una maggiore flessibilità e autonomia sembra apportare numerosi benefici: il miglioramento dell’equilibrio tra vita professionale e privata (46%) e la crescita della motivazione e del coinvolgimento dei dipendenti (35%), emergono come i principali vantaggi riscontrati dalle organizzazioni che hanno adottato lo Smart Working.
Inoltre, gli smart worker si dicono molto più soddisfatti del loro lavoro rispetto ai dipendenti che seguono gli standard tradizionali( il 76% dei primi contro il 55%). La soddisfazione tocca vari aspetti, quali, ad esempio: organizzazione del lavoro, rapporto con i colleghi e relazione con i superiori.
L’esperienza delle organizzazioni che hanno avviato da tempo progetti di Smart Working, testimonia influenze anche rispetto livello di coinvolgimento dei dipendenti: gli smart worker che si sentono pienamente coinvolti nelle attività e nella missione della propria azienda, sono il 33% rispetto al 21% di quelli tradizionali. Anche in questo caso, lo smart working ha influssi positivi su vari aspetti dell’engagement: il 71% degli smart worker si sente più orgoglioso dei risultati dell’organizzazione in cui lavora rispetto al 62% degli altri; in più, il 71% desidera rimanere più a lungo in azienda contro il 56% dei dipendenti che seguono orari standard.
Le dinamiche dello Smart Working, inoltre, sembrano influenzare anche l’attitudine al lavoro dei dipendenti. I lavoratori smart presentano livelli di responsabilizzazione su obiettivi aziendali e personali, di flessibilità nell’organizzazione delle attività lavorative e di bilanciamento tra tecnologie digitali e strumenti tradizionali, decisamente più alti. Stando ai dati dell’Osservatorio, l'”attitudine smart”, ad oggi, caratterizza il 35% degli smart worker, contro il 17 % dei lavoratori tradizionali.
Le criticità
Nonostante la portata innovativa del fenomeno, l’applicazione dello Smart Working non è esente da criticità.
La percezione delle difficoltà connesse a metodologie di lavoro smart, cambia, ovviamente, a seconda del punto di vista dal quale si osserva il fenomeno. Se si interrogano i manager, il problema che emerge in modo più immediato è la difficoltà nel gestire le urgenze segnalato dal 34%; il 32% indica problematiche rispetto all’utilizzo di tecnologie; il 26%, nel pianificare le attività. Rilevante, tuttavia, la percentuale di responsabili che dichiarano di non aver avuto alcun tipo di problemi, pari al 46%.
Dal punto di vista degli smart worker, la difficoltà primaria è invece rappresentata dalla percezione di isolamento, avvertita dal 35% dei lavoratori. Tra le criticità emerse, anche le distrazioni esterne (21%); i problemi di comunicazione e collaborazione virtuale (11%) e la barriera tecnologica (11%).
Dall’analisi delle criticità avvertite, emerge in modo evidente la necessità di avviare un percorso di trasformazione, sia nell’organizzazione che nelle persone, intervenendo sulle modalità di vivere il lavoro.
Affinché lo Smart Working possa dispiegare pienamente le proprie potenzialità su tutti gli aspetti del lavoro, è necessario che venga concepito come una progettualità completa che chiami in causa un ripensamento degli spazi e un nuovo modo di lavorare, fondato anzitutto su fiducia e collaborazione. Elemento chiave è il lavoratore che, da dipendente, deve diventare un professionista responsabile, flessibile e autonomo, da valutare non in base al tempo di lavoro svolto, bensì rispetto ai risultati ottenuti. Un simile risultato passa inevitabilmente da un intenso lavoro sull’attitudine e il comportamento delle persone, attraverso la promozione di un coinvolgimento pieno e spinte più decise verso innovazione e creatività.
Le grandi imprese
Tra le realtà in cui il fenomeno smart working risulta maggiormente diffuso, spiccano le grandi imprese. L’interesse verso il fenomeno cresce a vista d’occhio, accomunando la maggior parte delle più affermate aziende del Paese. A testimoniarne la centralità, i dati elaborati dall’Osservatorio Smart Working: nel 2019, è il 58% tra esse ad aver avviato al suo interno progetti di Smart Working, con un lieve incremento rispetto dl 56% del 2018. A queste percentuali, occorre aggiungere un 7% di imprese che ha già attivato iniziative informali e un 5% che prevede di farlo nei prossimi dodici mesi. Del restante 30%, il 22% dichiara probabile l’introduzione futura e soltanto l’8% non sa se lo introdurrà o non manifesta alcun interesse.
Molteplici gli obiettivi alla base della decisione di avviare progetti di Smart Working nella propria realtà aziendale. Anzitutto, il miglioramento dell’equilibrio tra lavoro e vita privata dei lavoratori, obiettivo indicato come prioritario dal 78% del campione; seguono la capacità di attrazione e di coinvolgimento di nuovi talenti (59%) e la possibilità di ottimizzare i livelli organizzativi (46%). Benefici già positivamente comprovati e di cui le grandi organizzazioni stanno sempre più acquisendo conoscenza e consapevolezza.
Tuttavia, sulla strada della piena adesione al modello Smart Working, si frappongono ancora importanti ostacoli. Primo tra tutti, la presenza di forti resistenze da parte dei capi, avvertita come problematica dal 50% del campione. Forti, anche le preoccupazioni rispetto alla sicurezza dei dati e alle attività poco digitalizzate, indicate dal 31% delle aziende.
A fronte di dinamiche di crescita lente, è però da segnalare l’aumento della maturità delle iniziative, passate dallo stato di sperimentazione all’estensione ad un più elevato numero di lavoratori: nelle grandi imprese, il 49% dei progetti realizzati ad hoc è già a regime, e la popolazione aziendale media coinvolta ha registrato un balzo dal 32 al 48% in un anno.
Le prime esperienze si sono basate sull’attivazione di diverse formule: la maggior parte delle aziende ha scelto di far lavorare i dipendenti da remoto per 4 giorni al mese; un quarto delle organizzazioni, ha optato, invece, per 8 giorni mensili; si tratta generalmente di realtà in cui i progetti di Smart Working sono stati avviati da più tempo; il 10% consente di lavorare da remoto senza alcun vincolo.
Scelte diversificate si registrano anche rispetto al luogo: l’opzione più comune riguarda l’abitazione del dipendente, scelta dal 98% delle imprese. Seguono: altre sedi aziendali (87%); spazi di coworking (65%), luoghi pubblici (60%) e presso clienti e fornitori (56%). Prende piede anche la possibilità di lavorare da remoto, a prevedere tale opzione è il 40% delle grandi imprese.
Le PMI
Diverso il quadro delle PMI. Nonostante un aumento della diffusione dello Smart Working, che vede passare i progetti strutturati dall’8% del 2018 al 12% del 2019, tra le piccole e medie imprese si registra un preoccupante incremento della percentuale di imprese che non hanno alcun interesse rispetto al tema. Il dato, in un solo anno, ha subito un incremento del 13%, passando dal 38% di disinteresse del 2018 al 51% attuale.
La difficoltà di applicare il modello smart alla propria realtà aziendale e la resistenza mostrata dai capi, figurano tra i principali limiti all’applicazione dei modelli di smart working, rispettivamente per il 51% e il 23% delle PMI.
L’elevata percentuale di disinteresse è da attribuire, anzitutto, ad una concezione limitante e poco chiara del fenomeno in questione. Dalla maggior parte delle piccole e medie aziende, infatti, lo Smart Working viene anzitutto ricondotto al lavoro da casa. Associazione che, ad esempio, in settori quali il commercio o la manifattura in cui la presenza fisica del dipendente si ritiene indispensabile, porta a percepire il modello Smart Working come irrealizzabile.
Nell’ambito delle PMI, infatti, i progetti di Smart Working non sembrano interessare allo stesso modo tutte le figure professionali. Ad essere coinvolti, in particolare, soggetti con funzioni di gestione del personale (56%), seguiti da coloro che si occupano di proprietà (31%) e della direzione IT (30%).
Tra le iniziative avviate all’interno delle piccole e medie realtà imprenditoriali del Paese per incentivare lo Smart Working, si segnalano: al 66%, formazione per i manager su stili di ledearship e gestione del personale; al 59%, attività di comunicazione per far luce su policy e dettaglio delle iniziative.
Le Pubbliche Amministrazione
Segnali positivi arrivano dalla Pubblica Amministrazione, settore in cui, secondo l’Osservatorio, si registrano la percentuale di crescita più ampia. La fotografia scattata sugli enti pubblici, mette in luce un raddoppiamento dei progetti strutturati di Smart Working, soprattutto nell’ambito delle PA di grandi dimensioni. In un solo anno, l’adozione dello Smart Working è passato dall’8% al 16%. In aumento anche la quota di PA che ha attivato iniziative informali (dall’1% del 2018 al 7% del 2019).
Nonostante l’incoraggiante crescita, permangono evidenti ritardi. Sono ancora 4 su 10 le PA che non prevedono progetti di Smart Working; il 31% risulta incerto rispetto alla sua introduzione e il 7% addirittura disinteressato.Le debolezze più importanti si riscontrano anzitutto sul versante interno. I progetti attivati, infatti, coinvolgono solo il 12% degli impiegati pubblici, percentuale nettamente inferiore rispetto a quella che si registra nelle imprese private e vicina al 10%, che nella direttiva Madia veniva indicato come limite inferiore all’adozione. Un dato indicativo della tipologia di approccio usato dalle PA rispetto allo Smart Working che, ad oggi, risulta essere stato applicato come mero adempimento normativo.
A conferma della limitata comprensione della portata dello Smart Working, le metodologie di selezione del personale da coinvolgere, mosse in primo luogo da esigenze familiari ( rientri dalla maternità 70%; presenza di disabilità o familiari a carico 57%) e, solo dopo, della tipologia di attività svolta dal dipendente (57%).
Il 43% delle PA indica come principale barriera la percezioni che le metodologie di lavoro smart non siano adatte alla propria realtà. Seguono, tra le barriere, la mancanza di consapevolezza sui benefici connessi alla sua applicazione, indicato dal 27% del campione. Da non sottovalutare, la prevalenza di documenti cartacei e di tecnologie inadeguate contrapposte ad una scarsa presenza di attività digitalizzate, indicate dal 21% delle PA coinvolte.