Italia tra gli stati europei più “maturi” in fatto di policy e cultura open. A dirlo “Open data maturity in Europe 2018“, il rapporto Ue sullo stato di avanzamento delle politiche di Open data nei Paesi dell’Unione europea. Buono il livello, ma rimangono barriere da superare
Trasparenza, partecipazione civica, innovazione, miglioramento dei servizi, controllo democratico: oggi, gli Open data rappresentano un immenso serbatoio di ricchezza e di sviluppo non solo per il singolo cittadino, impresa o istituzione, ma per l’intero sistema. Non a caso, la Commissione europea, a partire dal 2015, ha avviato il rilevamento del grado di maturità degli Open data e dello stato di attuazione della direttiva Public Sector Information (PSI), sui cui risultati è basata l’elaborazione del rapporto Ue “Open Data Maturity report“. L’indagine, giunta alla sua quarta edizione, si pone l’obiettivo di misurare lo stato di avanzamento delle politiche di open data, determinare l’impatto economico, politico e sociale in ogni stato membro e diffondere conoscenza e promozione delle best practices intraprese dai Paesi europei.
Il rapporto stilato dalla Commissione europea tiene conto delle performance di tutti gli stati membri (EU28), analizzando e confrontando il livello di maturità raggiunto dalle misure e dalle azioni dispiegate nell’ambito degli Open data. La valutazione delle pratiche di ciascun Paese si basa su quattro dimensioni:
- policy: politiche adottate per favorire lo sviluppo delle azioni nei Paesi europei, nonché il coordinamento a livello locale e regionale
- portal: capacità di favorire l’interazione e il contatto tra fornitori e utilizzatori di dati
- quality: valutazione sulla qualità del dato
- impact: portata dell’impatto politico, economico e sociale generato dal riutilizzo del dato sull’intero sistema.
Il valore di maturità attribuito all’Europa è di 65 punti. Dall’analisi delle prestazioni effettuate dagli EU28, si denota un quadro europeo dinamico e disomogeneo che, rispetto al tema Open data, vede l’Europa dividersi in: beginners, followers, fast-trackers e trend-setters.
L’ “Open data maturity in Europe 2019“, inserisce l’Italia nel gruppo trainante dei “trend-setters“, indicandola come un esempio da seguire non solo in fatto di politiche sugli Open data – tra le più avanzate – ma anche in merito alla diffusione e allo sviluppo di una cultura open. Lo stivale, infatti, sembra caratterizzarsi per: dati di ottimi qualità, buone pratiche in fatto di riuso, interazione e collaborazione tra diversi ecosistemi e portali dalle svariate funzionalità.
Come mostrato nella Figura 1., per l’Italia, il valore di quasi tutti gli indicatori è superiore alla media europea. La dimensione Policy fa registrare un valore pari al 96% contro l’82% EU28; la dimensione Impact si attesta 73%, contro il 50% EU2; l’indicatore Portal fa segnare un 70% contro il 63% europeo; infine, rispetto alla Qualità, l’Italia registra un 80% contro il valore del 62% della media europea.
Tra gli esempi italiani più virtuosi, spicca il caso di OpenCup. Si tratta di un portale Open data che mette a disposizione di cittadini, istituzioni ed altri enti, i dati – in formato aperto – sulle decisioni di investimento pubblico finanziate con fondi pubblici nazionali, comunitari o regionali o con risorse private registrate con il Codice Unico di progetto. Grazie alla piattaforma è possibile scaricare dati sulle decisioni di investimento pubblico; fare ricerche e visualizzare in modo semplice – su mappe e infografiche – i progetti, selezionandoli per settore, costo e territorio; reperire informazioni sui soggetti che si sono impegnati nella realizzazione degli investimenti. Queste funzioni rendono OpenCUP uno strumento utile per migliorare la qualità dei processi decisionali e per sviluppare la capacità di rendicontare risorse pubbliche.
In fatto di riutilizzo, tra gli esempi di best practices italiane si indica Synapta – Linked Data per davvero!, compagnia impegnata nella promozione dell’apertura e della condivisione dei dati del patrimonio culturale, attraverso l’utilizzo di linked data per integrare informazioni provenienti da fonti eterogenee. I dati collegati diventano interoperabili e accessibili, si arricchiscono e migliorano nel tempo in maniera autonoma trasformandosi in preziosi strumenti per risolvere problemi quotidiani di aziende, pubbliche amministrazioni e singoli cittadini.
La sensibilità rispetto al dato aperto sembra cresce di anno in anno. Come riportato dalla Figura 2., dal 2015 al 2018, l’Italia ha fatto registrare un buon miglioramento. Lo dimostra la scalata dal tredicesimo posto, occupato nel 2015, al quarto, registrato nelle rilevazioni relative ai dati 2018. Da segnalare il 2016, in cui si evidenzia la perdita di ben 6 posizioni. Situazione ampiamente risanata nel 2017, anno caratterizzato da una rimonta fino all’ottavo posto della classifica.
Nonostante le buone prestazioni dell’Italia, emergono ancora alcune debolezze sulle quali intervenire per ridurre la distanza rispetto ai Paesi più evoluti. Secondo il rapporto Ue, le principali barriere riguardano: la scarsità di risorse da destinare alla costruzione di un programma nazionale; la mancanza di politiche esplicite sulla condivisione dei dati aperti; la scarsa consapevolezza sulla portata degli impatti derivanti dall’utilizzo dei dati aperti; dubbi sulla protezione dei dati e sulla riservatezza; mancanza di una figura riconosciuta di Data Manager; insufficiente condivisione delle conoscenze; documentazione, automazione e casi di riutilizzo insufficienti.