Le piccole e medie imprese (PMI), colonna portante del sistema imprenditoriale italiano, sono stati i soggetti più colpiti dalla pandemia, tanto in Italia quanto in Europa. Gli interventi immediati attuati dai governi hanno consentito di contenere i danni, ma serve di più. Gli ostacoli verso la ripresa non mancano: necessario puntare su sostegno alla liquidità e transizione digitale.
Le piccole e medie imprese (PMI) e gli imprenditori sono stati i soggetti più duramente colpiti dalla crisi della COVID-19. Le risposte politiche sono state rapide e hanno contribuito ad attutire il colpo e a mantenere a galla la maggior parte delle imprese. Nonostante l’ampiezza dello shock, infatti, i dati disponibili fino ad ora indicano una natalità di startup e imprese sostenuta, nessuna ondata di fallimenti e un impulso all’innovazione nella maggior parte dei paesi dell’OCSE. Tuttavia, il sostegno dei governi è risultato meno efficace di fronte a lavoratori autonomi, microimprese, giovani e donne, e non tutti i Paesi europei hanno mostrato la stessa capacità di reazione alla crisi economica e di sostegno alle PMI.
Sono i dati contenuti nel rapporto OCSE -“SME and Entrepreneurship Outlook 2021“, una fotografia aggiornata sulle misure adottate per sostenere le PMI e sugli effetti della pandemia sul tessuto imprenditoriale europeo a breve e a lungo termine. Contenuti nel documento anche 38 profili Paesi, con approfondimenti su performance e tendenze imprenditoriali, fattori di vulnerabilità e resilienza delle PMI e degli imprenditori d’Europa.
Il quadro europeo
Le restrizioni alla mobilità, al commercio e alle attività adottate per contenere la pandemia COVID-19 hanno innescato la recessione globale più grave del dopoguerra. Tutte le imprese e i settori sono stati, direttamente o indirettamente, colpiti, ma a pagare il prezzo maggiore sono state le PMI. Particolarmente rappresentative nei settori più esposti (ad esempio, i servizi di ristorazione e di alloggio), spesso sono state costrette a chiudere. Tra quelle che sono state in grado di continuare le operazioni, molte hanno visto un calo significativo delle entrate, dovendo di conseguenza fare i conti con gravi carenze di liquidità. Secondo il Future of Business Survey di Facebook/OCSE/Banca Mondiale, tra il 55- 70% delle PMI rimaste aperte da maggio a dicembre ha visto diminuire le vendite, con due terzi che hanno sperimentato cali superiori al 40%.
Le risposte del governo sono state rapide, forti ed efficaci almeno per la prima ondata. Nella maggior parte dei Paesi OCSE, tra il 20 e il 40% delle PMI ha avuto accesso alle misure contenute nei pacchetti di emergenza, con sussidi, rinvii di pagamento, prestiti e garanzie di prestito. Ma le PMI si sono anche aiutate da sole, adattando i loro modelli di business ai dinamiche generate dalla crisi. Il cambiamento ha riguardato in particolare l’adozione di strumenti digitali, che ha coinvolto il 50% delle PMI, contribuendo così ad accelerare la transizione digitale dell’UE. Tra le imprese che hanno intensificato l’utilizzo del digitale durante la pandemia, circa due terzi delle piccole imprese e oltre il 75% delle medie imprese ha dichiarato che i cambiamenti sono permanenti.
Tuttavia ci sono ancora molti problemi e questioni in sospeso. Se da un lato la digitalizzazione delle PMI aiuterà a colmare i gap di produttività di lunga data, dall’altro ha contribuito ad ampliare il divario tra grandi imprese e lavoratori autonomi e microimprese, particolarmente scoraggiati dai costi di adeguamento (60%). A fronte di un simile scenario, soluzioni e politiche per affrontare i divari e gli sforzi per migliorare le competenze digitali delle PMI, la cultura dei dati e la sicurezza risultano necessari e urgenti, nonché l’unica strada percorribile per sfruttare pienamente il potenziale di trasformazione degli strumenti digitali per le imprese.
Il quadro italiano
In Italia, il settore delle PMI contribuisce al 76% dell’occupazione e al 64% del valore aggiunto, con percentuali superiori alla media OCSE rispettivamente al 68% e al 59%. La severità delle restrizioni, molto più stringenti che in numerosi altri Paesi europei, ha determinato un’importante alterazione delle dinamiche di business per questi soggetti economici. La natalità delle imprese è crollata rimanendo molto al di sotto dei livelli del 2019 fino alla fine del 2020. In più, i settori più colpiti dalla crisi, in Italia rappresentano il 40,2% dell’occupazione totale (media OCSE media 39,7%). Basti pensare che prima del COVID, il turismo rappresentava l’8,8% del dell’occupazione totale in Italia (OCSE 6,7%). La provincia di Bolzano, con circa il 34% dei posti di lavoro a rischio, risulta essere la regione più esposta in relazione all’alta concentrazione regionale dei settori del retail, ristorazione e alberghiero. Dato il grande impegno nel commercio internazionale (soprattutto come esportatrice), l’Italia si colloca tra i Paesi che più hanno risentito delle perturbazioni che hanno interessato le catene di fornitura globali.
Il sostegno da parte del governo per risanare la perdita di liquidità delle imprese si è dimostrato più efficace che nella maggior parte dei Paesi europei: il 54% delle PMI in Italia ha usufruito dei sostegni statali contro una media OCSE del 33,6%. Le forme di sostegno a fondo perduto sono state le più popolari (38% delle PMI).
Tuttavia, gli incentivi da soli non bastano per trascinare il Paese verso la ripresa. Tante sono ancora le criticità da superare. Ne sono un esempio i ritardi delle imprese italiane nell’adozione di strumenti digitali che ne possano far evolvere il business (come l’e-commerce), o lo squilibrio nelle competenze digitali possedute dalla forza lavoro, con particolare riferimento a informatica, elettronica e problem solving. In più, sebbene l’Italia in generale offra un quadro favorevole all’imprenditorialità, i costi amministrativi e di insolvenza rimangono molto alti scoraggiando numerosi imprenditori.