1 italiano su 2 lavora in una micro impresa, a dirlo i dati dell’Ufficio studi di CGIA: 4,1 milioni, le unità presenti in Italia (95% del totale); 7,6 milioni, il numero di addetti (44,5% del totale). La concentrazione maggiore è al Sud, in Calabria è record
Ritenute, fino a qualche decennio fa, residuali e destinate a scomparire per effetto della globalizzazione, oggi le micro imprese – attività imprenditoriali caratterizzate da un massimo di 9 dipendenti – rappresentano uno degli assi portanti dell’economia del Paese. Lo si legge forte e chiaro nel report realizzato dall’Ufficio studi della CGIA – Associazione artigiani piccole imprese Mestre – che ne testimonia non solo la numerosità, ma anche e soprattutto il grande peso occupazionale.
Le micro imprese, in Italia, sono oltre 4,1 miliardi (pari al 95% del totale) e danno lavoro a quasi 7,6 milioni di cittadini (44,5% del totale). Il numero di occupati nelle piccolissime attività risulta doppio rispetto a quello rilevabile nelle grandi imprese che, stando ai dati, assorbono 3,8 milioni di addetti. Inferiore anche il numero di occupati nelle piccole e medio imprese, in cui, rispetto a quelle micro, se ne contano circa 1,5 milioni in meno. Le micro imprese, inoltre, sono responsabili del 29% del valore aggiunto riconducibile alle imprese (220 miliardi di euro su un totale di 750) e generano il 25% del fatturato nazionale (746 miliardi su un totale di 2.950).
Dati, questi, che testimoniano la centralità delle micro imprese nell’economia italiana e che fanno emergere come prioritaria la necessità di avviare un’intensa attività legislativa a favore delle realtà imprenditoriali più piccole e dei milioni di lavoratori che vi operano. A ciò si lega la volontà della CGIA di redigere il ” Manifesto a sostegno del ceto medio produttivo”, un documento basato sulle richieste provenienti dal mondo delle micro imprese, da tenere in considerazione in vista delle legge di Bilancio 2020.
Il Manifesto, da porre all’attenzione di deputati e senatori italiani, si presenta come un pacchetto di 10 richieste avanzate dagli artigiani d’Italia. Da un lato si chiede: più efficienza nella Pubblica amministrazione, più credito, più investimenti pubblici, più formazione professionalizzante e più servizi digitali; dall’altro: meno tasse, meno burocrazia, meno criminalità organizzata, meno lavoro nero e meno concorrenza sleale.
Se si guarda al settore economico, il maggior peso occupazionale dei piccolissimi imprenditori si registra nell’ambito delle attività immobiliari (93,3% del totale addetti). Particolarmente interessati dal fenomeno sono anche il settore dei servizi alla persona (78,7%); i liberi professionisti (76%) e le costruzioni (65,4%). In termini assoluti, il settore in cui si conta il maggior numero di occupati nelle micro attività è il commercio autoriparazioni, con quasi 2 milioni di soggetti. A seguire: liberi professionisti (972.400), il comparto ricettivo (884.000), le costruzioni (856.000) e la manifattura (847.000).
Uno sguardo alla diffusione territoriale delle realtà imprenditoriali più piccole d’Italia, mette in luce che il peso assunto dalle micro imprese al Meridione è nettamente superiore rispetto al resto d’Italia. Tra le regioni, primo gradino del podio alla Calabria con il 69% di addetti, seguono il Molise (66,2%); la Sicilia (63,7%) e la Sardegna (63,4%). Fanalini di coda, l’Emilia Romagna (40,5%); il Lazio (37,1%) e la Lombardia, ultima in classifica, con il 34%. Tali percentuali sono da imputare anzitutto all’elevata concentrazione di medie e grandi imprese al Centro Nord.