Pubblicata la ventinovesima edizione del Rapporto annuale Istat sulla situazione del Paese, un’attenta analisi dello scenario venutosi a creare con l’irrompere dell’emergenza sanitaria e degli effetti sulla società e sull’economia dell’Italia.
La crisi e il recupero: la congiuntura economica e sociale
A metà del 2021, le conseguenze dell’emergenza sanitaria caratterizzano ancora il quadro economico e sociale. La recessione globale è stata violenta e di breve durata, con un rimbalzo favorito dalle misure di sostegno e una ripresa dell’attività economica in tutte le principali economie. Il Pil italiano, dopo la caduta dell’anno passato (-8,9%) dovuta essenzialmente al crollo della domanda interna, è previsto in rialzo del 4,7% nel 2021.
Nel primo trimestre 2021 si registrano forti miglioramenti nella manifattura, nelle costruzioni e in alcuni comparti del terziario e anche le prospettive di brevissimo periodo sono decisamente positive (in base ai risultati dell’indagine sui climi di fiducia di imprese e consumatori).
Nonostante un moderato recupero occupazionale nei mesi recenti, a maggio ci sono 735mila occupati in meno rispetto a prima dell’emergenza. Sul fronte dei prezzi, la dinamica è stata quasi nulla nel 2020 ma nei primi mesi del 2021 la risalita del prezzo del petrolio e il recupero dell’attività hanno alimentato moderate spinte inflazionistiche. Per rendere possibili le misure di contrasto all’emergenza sono stati sospesi i vincoli del Patto di Stabilità e Crescita e il
deficit pubblico è salito in Italia al 9,5% del Pil.
I trasferimenti alle famiglie hanno limitato la caduta del reddito disponibile (-2,8%). Il calo dei consumi è stato ben più ampio di quello del reddito, di conseguenza il tasso di risparmio è quasi raddoppiato. I consumi sono scesi più nel Nord che nel Centro e nel Mezzogiorno. Nel complesso, la spesa per alimentari e per l’abitazione è rimasta invariata, mentre si sono ridotte molto quelle più colpite dalle misure restrittive sulle attività e dalle limitazioni agli spostamenti e alla socialità. L’incidenza della povertà assoluta, misurata sui consumi, è in forte crescita, soprattutto nel Nord. Le misure di contenimento dell’emergenza sanitaria hanno modificato l’organizzazione dei tempi della popolazione, ma si osserva un graduale ritorno verso una quotidianità più vicina a quella pre-crisi.
Il sistema delle imprese tra crisi e ripresa
Il sistema produttivo italiano ha subito pesantemente gli effetti economici della crisi sanitaria. Nel primo semestre del 2020 oltre tre quarti delle imprese industriali con almeno 20 addetti hanno registrato ampie cadute di fatturato, sia sul mercato nazionale sia su quello estero. Segnali di recupero più diffusi si sono registrati nella seconda parte dell’anno e nel primo trimestre 2021. Nella manifattura l’aumento dei ricavi ha coinvolto quindici settori su ventitré, ma solo nove – che pesano per oltre il 40% sull’indice di fatturato totale – sono tornati ai livelli pre-crisi. In quasi tutti la domanda interna è stata più vivace di quella estera. Nel terziario il recupero è ancora incompleto ed eterogeneo: a marzo 2021 il livello dei ricavi è ancora inferiore di oltre il 7% rispetto a quello registrato a fine 2019.
La crisi sanitaria ha compromesso in molti casi la solidità delle imprese: risultano strutturalmente a rischio la metà delle micro (3-9 addetti) e un quarto delle piccole (10-49 addetti), soprattutto nel terziario. Tuttavia, investimenti in R&S e digitalizzazione, e nella formazione avanzata del personale, aumentano significativamente la probabilità di limitare gli effetti negativi della crisi. Infatti, tra le imprese digitalmente più strutturate solo quattro su cento hanno ridimensionato l’attività.
L’impatto economico della crisi è stato eterogeneo tra le diverse aree del Paese. Le più penalizzate sono quelle a maggiore vocazione turistica, senza grandi differenze tra nord e sud del Paese. Risultano a elevato rischio operativo anche imprese a grande rilevanza locale che nel periodo pre-crisi presentavano una elevata intensità di investimenti e forti connessioni produttive con altre unità. L’incidenza di queste imprese è maggiore in Basilicata, Calabria e Sardegna ma anche nel Friuli-Venezia Giulia.
Fonte: Istat