24 Giugno 2019

Industria 4.0, la crescita del mercato rallenta: PMI in ritardo, bisogna puntare su approccio sistemico e valorizzazione HR

L’industria 4.0 continua a crescere, ma nel 2019 procede a passi più lenti. Questo è quanto emerge dal report “La rivoluzione si fa con le persone”, realizzato dall’Osservatorio School of management Polimi: la consapevolezza sulla portata rivoluzionaria della digitalizzazione è ampia, ma mancano maturità digitale, competenze e approccio sistemico

Nel 2018, il mercato italiano dell’Industria 4.0 si è reso protagonista di ottime performance, tanto da far registrare un + 35% rispetto al 2017, per un valore di 3,2 miliardi. La grande corsa intrapresa dal settore è stata trainata soprattutto dagli investimenti effettuati nel 2017 e incentivata dal Piano Nazionale industria 4.0. L’85% del fatturato è costituito da Industria Iot, Industrial Analytics e Cloud Manufacturing: l’Industria Iot, da sola rappresenta il 60% del mercato con un valore di 1,9 miliardi e una crescita del 40%; l’Industrial Analytics copre il 17% del mercato, per un valore di 530 milioni di euro; al Cloud Manufacturing spetta l’8% e un valore di 270 milioni di euro. In Italia, ad oggi, si contano 800 applicazioni 4.0. Il quadro è certamente incoraggiante: l’Industria 4.0 continua a crescere, nonostante la leggera battuta d’arresto subita nel 2019. Lo evidenzia l’Osservatorio Industria 4.0 della School of management Polimi, nel report “La rivoluzione si fa con le persone”. Dalla lettura, infatti, emerge che nel primo trimestre del 2019, il mercato dell’Industria 4.0 avrebbe subito una contrazione del 10-15% rispetto al 2018.

Nonostante gli investimenti non manchino e la consapevolezza rispetto alla portata rivoluzionaria del 4.0 sia forte tra le imprese, l’incapacità di approcciarsi all’avvento digitale in modo sistemico, la superficialità con cui numerose PMI guardano alla valutazione della digital readiness e la pesante mancanza di competenze, pongono un freno alle immense potenzialità offerte dalla trasformazione digitale. I dati parlano chiaro: su 192 imprese (153 grandi e 39 Pmi), l’80% considera l’ Industria 4.0 una rivoluzione destinata a condurre cambiamenti radicali. A sottovalutare il fenomeno, le restante parte, secondo cui non si tratta altro che della naturale evoluzione di quanto già accaduto negli anni precedenti. La diffusa consapevolezza sull’importanza del 4.0, non trova però riscontro nelle attività di analisi dello stato di maturità digitale di ciascun azienda: solo un’impresa su tre ha effettuato una valutazione della propria digital readiness, il 54% si dice interessato a farlo in futuro, mentre il 14% non ha alcuna intenzione di farlo.

Focus del report redatto dall’Osservatorio è il valore delle “persone”. Si ritiene infatti che affinché la digitalizzazione possa effettivamente condurre ai risultati rivoluzionari auspicati, è fondamentale che i dipartimenti HR e i lavoratori vengano coinvolti fin dalle fasi di progettazione e di sviluppo delle soluzioni, in quanto utilizzatori finali delle tecnologie. La realtà italiana, al momento, mostra poca sensibilità sul tema. Stando al report, la partecipazione ai progetti di digitalizzazione delle aziende da parte della HR è limitata:  solo nel 6,8% è stata coinvolta in tutti gli step, nel 27,1% è solo informata dell’inizio del progetto, nel 23,4% non ha avuto un ruolo in nessuna attività.

La dimensione del capitale umano risulta subalterna nelle strategie di innovazione portate avanti dalle imprese che hanno iniziato ad utilizzare le tecnologie 4.0. Nelle fasi di valutazione dell’impatto provocato dal 4.0 sull’organizzazione delle aziende, infatti, gli aspetti maggiormente considerati sono essenzialmente riconducibili a : cambiamenti di processo e di flusso (54,2% del campione); attività e modalità di lavoro del personale (45,3%); competenze tecniche (42,7%). Posti in secondo piano, la valutazione dell’impatto sui ruoli, sulle competenze gestionali e relazioni e sui comportamenti attesi, considerati solo dal 20% delle aziende.

Tali dati fanno emergere uno tra i principali limiti allo sviluppo della digitalizzazione nelle imprese: si tratta dell’impreparazione mostrata dalle aziende italiane nell’affrontare la trasformazione digitale per mezzo di un approccio sistemico che sia capace di tener conto, al contempo, delle soluzioni tecnologiche e del modello organizzativo. A risentirne è, come si è visto, la valorizzazione del capitale umano e l’attenzione rispetto alle competenze. Nonostante ciò, il 57% delle imprese sembra essersi  in attività di analisi tese all’individuazione di carenze in fatto di competenze 4.0 e di interventi formativi necessari per risanare il gap: tre aziende su dieci giudicano le competenze possedute adeguate e la medesima percentuale sta lavorando per migliorarle. I dati più negativi riguardando le competenze specifiche che risultano ancora marginali.

Non particolarmente positiva, poi, la fotografia scattata alle PMI italiane che presentano una preparazione digitale mediamente inferiore a quella delle grandi aziende. In questo tipo di realtà produttive si avverte in modo ancora più forte, la difficoltà nel conciliare investimenti tecnologici e controllo sull’organizzazione: nelle prime fasi del percorso verso la digitalizzazione, infatti, le PMI puntano sull’implementazione di sistemi e tecnologie indirizzate all’innovazione di prodotti e processi che le rendano competitivi sul mercato, ma  la capacità di gestione e manutenzione risultano deboli, così come l’utilizzo delle tecnologie digitali nell’esecuzione e nella gestione dei processi.

L’implementazione delle misure innovative e tecnologiche è in grado di determinare benefici tangibili soprattutto in fatto di flessibilità e di riduzione dei costi. A dirlo sono le aziende che contano progetti attivi da oltre un anno: per il 47%, la flessibilità di produzione è migliore; per il 38% aumenta l’efficienza dell’impianto; il 34% ha notato miglioramenti rispetto ai tempi di progettazione e per il 33% sono aumentate le opportunità di sviluppare prodotti innovativi. Non mancano aspetti sui quali intervenire. Si riscontrano difficoltà rispetto a: uso della tecnologia e adozione degli standard (59%); problematiche di natura organizzativa e gestione delle competenze(41%); difficoltà di change management (20%) e insoddisfazione per l’offerta (17%).