L’Italia è prima in Europa per economia circolare. Lo confermano i dati del “Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2020” realizzato da ENEA e CEN – Circular Economy Network. Secondo e terzo posto per Germania e Francia, la Polonia velocizza il passo. Cresce il valore della bioeconomia.
Il consumo di materiali cresce a un ritmo doppio di quello della popolazione mondiale. Basti pensare che ogni abitante della Terra utilizza più di 11mila chili di materiali all’anno dei quali un terzo si trasforma in breve tempo in rifiuto e finisce per lo più in discarica e solo un altro terzo è ancora in uso dopo appena un anno. L’unico modo per porre un freno alla dannosa avanzata dell’usa e getta, è puntare sull’economia circolare, utilizzando materiali e oggetti che possano essere riciclati e riutilizzati.
L’Italia si è dimostrata da subito sensibile al tema, tanto da confermarsi al primo posto in Europea nei settori dell’economia circolare. Lo rivela il “Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2020” realizzato da ENEA e CEN – Circular Economy Network.
Il Paese è in testa alla classifica per indice di circolarità, indicatore misurato tenendo conto dei cinque parametri produzione, consumo, gestione rifiuti, mercato delle materie prime seconde, investimenti e occupazione. Seguono Germania e Francia con 11 e 12 di distanza dalla capolista. I dati 2020, tuttavia, mettono in luce e prime criticità: il valore degli indicatori risulta in calo rispetto al precedente anno e se da un lato l’Italia rallenta, dall’altro, Francia e Polonia velocizzano il passo rappresentando così una concreta minaccia per il primato italiano. Lo confermano i dati: rispetto al 2019, Francia e Polonia hanno registrato un incremento rispettivo di +7 e +2 punti.
In calo la performance italiana sull’occupazione nei settori dell’economia circolare: con 571 mila occupati, il Paese si posiziona al secondo posto dopo la Germania che ne conta 659mila. Tra il 2008 e il 2017, inoltre, la quota di persone impiegate è diminuita dell’1%. Nonostante ciò, i valori si mantengono alti: gli occupati italiani nel settore rappresentano il 2,06% del totale, valore superiore rispetto alla media UE28 che è dell’1,7%.
Tra i punti deboli dell’economia circolare in Italia, anche la scarsità di investimenti: la strada dell’ecoinnovazione è ancora poco battuta, tanto che il Paese è all’ultimo posto per brevetti. Criticità anche sul fronte normativo.
Segnali incoraggianti arrivano invece dalla bioeconomia, basata sull’utilizzazione sostenibile di risorse naturali rinnovabili e sulla loro trasformazione in beni e servizi finali o intermedi. Secondo il rapporto, in Italia l‘insieme delle attività connesse alla bioeconomia registra un fatturato di oltre 312 miliardi di euro e circa 1,9 milioni di persone impiegate. I comparti più incisivi rispetto al valore economico (63%) e occupazionale (73%) della bioeconomia sono l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco e quello della produzione primaria (agricoltura, silvicoltura e pesca).
I dati evidenziano come la bioeconomia sia da considerarsi un fattore strategico sia rispetto alla salvaguardia delle risorse naturali che alla crescita economica del Paese. Tuttavia, affinché continui a crescere è necessario un maggior impegno rispetto alla tutela del capitale naturale, in particolare del suolo, e alla lotta alla crisi climatica.