Le regioni del Sud agli ultimi posti in Europa per tasso di attività e occupazione femminile, nonostante una moderata ripresa. È quanto emerge dalla fotografia scattata da Svimez, nel Rapporto “L’economia e la società nel Mezzogiorno”. Carenza di domanda di lavoro, bassa valorizzazione delle competenze, segregazione occupazionale e aumento del lavoro non standard, questi i fattori determinati.
Sono donne, sono giovani, vivono al Sud, vogliono un lavoro, lo cercano ma non lo trovano e, se lo trovano, è sottopagato. Succede in Italia, succede ogni giorno, da decenni, e la situazione non sembra destinata a cambiare.
Nel mondo del lavoro, in Italia, la parità tra i sessi sembra ancora un miraggio lontano. Lo dimostrano le elaborazioni 2019 realizzate da Svimez e contenute nel rapporto “L’economia e la società del Mezzogiorno“. Un attento sguardo sulla condizione della donna in Italia e al Meridione che vede il Paese al penultimo posto in Europa per tasso di occupazione femminile e il Mezzogiorno sempre più lontano dalla media UE.
Forti disparità di genere che toccano il mercato del lavoro nel suo complesso e che si riflettono non solo sulla situazione occupazionale, ma anche sulle possibilità di carriera e sui livelli retributivi, sempre inferiori rispetto a quelli degli uomini. Una situazione che non risparmia nessuna regione dello stivale ma che si avverte in modo più forte e drammatico nelle regioni del Sud, “dove – scrive Svimez – la divisione del lavoro all’interno delle famiglie è fortemente dicotomica per genere e la partecipazione femminile al mercato del lavoro patologicamente bassa”.
I dati evidenziano una modesta crescita: “tra il 2008 e il 2018 – si legge nel rapporto – l’occupazione femminile è cresciuta in modo significativo in Europa, (+6,3%, pari al +0,6% in media all’anno) e in misura più sensibile rispetto a quella maschile (+1,2%, pari al +0,1% in media all’anno)”.
Tale crescita, nello stesso decennio, ha interessato anche l’Italia (+5.4%, per un totale di +489mila unità) grazie, soprattutto, alla terziarizzazione dell’economia e a livelli di istruzione sempre più elevati.
Dati positivi che, tuttavia, se analizzati nel dettaglio, non fanno che confermare lo storico gap tra le due macro-aree del Paese: in Italia, infatti, “l’occupazione femminile sale più velocemente nel Centro-Nord (+0,6% all’anno, a fronte del +0,3% del Mezzogiorno) che accorcia così le distanze dai livelli medi europei (58,5%, a fronte del 63,3% della media UE a 28)”. Nel frattempo, il Meridione, già molto lontano, perde ulteriormente terreno, passando dai 27,5 punti del 2008 ai 30,5 punti del 2018.
Basti pensare che Basilicata, Puglia, Calabria, Campania e Sicilia, occupano le ultime sei posizioni in fatto di partecipazione femminile al lavoro, presentando tassi occupazionali che si aggirano intorno al 30-35%, con oltre 30 punti in meno rispetto alla media europea.
Ad oggi, il tasso di disoccupazione femminile si attesta al 20%. Percentuali tristemente negative che raddoppiano il valore del Centro-Nord e che, addirittura, arrivano quasi a triplicare la media europea.
Ad incidere in modo profondo su un quadro tanto complesso quanto preoccupante, fattori che da sempre affliggono l’Italia e in particolare il Meridione, quali: carenza di domanda di lavoro – già penalizzante per gli uomini – bassa valorizzazione delle competenze, segregazione occupazionale e incremento del lavoro non stardard involontario.
Ad aggravare ulteriormente la situazione, l’espandersi di una gravissima emergenza lavoro che tocca, in particolar modo, le giovani generazioni: “le occupate tra i 15 e i 34 anni – riporta Svimez – si riducono di oltre 769 mila unità (–26,4%), in calo anche quelle delle classi centrali, mentre crescono decisamente quelle con 50 anni e oltre (+1 milione 445 mila pari al +70,7%)”.
Una condizione, questa, figlia del costante aumento del lavoro part time (+22,8%), a discapito del lavoro a tempo pieno, protagonista di una flessione del -1,3%. Non una libera scelta quella di ricorrere a contratti di lavoro non standard, quanto una costrizione dettata dalla scarsità di offerte di lavoro a tempo pieno. “Le donne occupate con part time involontario aumentano nel decennio di 939 mila unità pari al +97,2%”.
Complica, la già controversa questione dell’occupazione femminile, il fenomeno del downgrading che, a partire dagli anni della crisi, ha iniziato ad interessare il mercato del lavoro italiano, conducendo ad un’importante contrazione del peso del lavoro qualificato, a favore di un incremento del lavoro scarsamente qualificato, in particolar modo nell’ambito dei servizi alla persona e domestici.
“Le professioni altamente qualificate hanno perso, infatti, tra il 2008 e il 2014, oltre 1,2 milioni di unità (–13,6%) a livello nazionale (nell’UE a 28 sono aumentate del 3,2%), un calo che nel Mezzogiorno è stato assai più accentuato (–18,1%) rispetto al Centro-Nord (–12,0%). Ancora più consistente è il downgrading per la componente femminile, rispettivamente –20,7% nel Mezzogiorno e –13,7% nel Centro-Nord”.
Servono risposte politiche ed istituzionali forti che, al momento, tardano ad arrivare. A pesare in modo determinante sulla bassa partecipazione al mercato del lavoro femminile, l’inadeguatezza delle politiche italiane di welfare e del lavoro, responsabili dell’attivazione di un pericoloso circolo vizioso legato all’impossibilità di conciliare i tempi della vita lavorativa e familiare:se da un lato, la scarsità di lavoro, i bassi salari e la generale condizione di emergenza economica, incidono negativamente sul reddito medio delle famiglie, sempre meno adeguato alla richiesta di servizi privati per l’infanzia; dall’altro, tali fattori incidono in modo profondo anche su determinati comportamenti sociali, quali, ad esempio, la riduzione del tasso di fertilità delle donne italiane.
Bastano i dati a dimostrarlo: “nel Mezzogiorno solo un terzo dei Comuni offre degli asili nido che coprono appena il 5,4% dei bambini con età inferiore ai tre anni, a fronte del 17% delle regioni del Centro-Nord”. La stretta correlazione tra occupazione femminile e servizi per il cittadino, è testimoniata dalle evidenze statistiche: sono proprio le regioni che presentano la migliore copertura dei servizi per la prima infanzia, i migliori tassi di istruzione femminile (Trento, Emilia-Romagna, Toscana), a far registrare i tassi di occupazione che più si avvicinano alla media UE.