“Il 41,4% delle imprese dichiara un calo del fatturato di oltre il 50%; il 51,5% prevede mancanza di liquidità nel 2020; il 38,0% segnala rischi operativi e di sostenibilità dell’attività”. Questi i principali risultati della Rivelazione Istat condotta nel mese di maggio sugli effetti della crisi economica generata dal Covid-19.
In che modo l’attuale crisi economica sta influendo sugli aspetti economici, finanziari e occupazionali del tessuto produttivo del Paese? Alla domanda risponde l’Istat attraverso la Rilevazione “Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19” condotta nel periodo 8-29 maggio, con l’obiettivo di raccogliere direttamente dalle imprese, valutazioni sugli impatti generati dall’epidemia sulla loro attività.
Oggetto di indagine, sono state circa 90 mila imprese con 3 e più addette, poco più di un milione di unità appartenenti ai settori dell’industria, del commercio e dei sevizi, fondamentali per il nostro sistema produttivo. Sebbene rappresentino solo il 23,2% del tessuto imprenditoriale del Paese, infatti, le piccole e medie imprese da sole producono l’89,8% del valore aggiunto nazionale, impiegano il 74,4% degli addetti (12,8 milioni) e circa il 90% dei dipendenti.
I primi risultati delineano un quadro ampiamente negativo, basti pensare che tra marzo e aprile, 4 imprese su 10 hanno registrato il 50% di fatturato in meno. In più – scrive l’Istat – “oltre la metà delle imprese (37,8% di occupati) prevede una mancanza di liquidità per far fronte alle spese che si presenteranno fino alla fine del 2020; il 38,0% (con il 27,1% di occupati) segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività e il 42,8% ha richiesto il sostegno per liquidità e credito (DL 18/2020 e DL 23/2020)”.
Tra le principali azioni messe in atto per far fronte alla crisi, il 23,2% delle imprese ha optato per la riorganizzazione di spazi e processi; il 13,6% per la modifica o l’ampliamento di metodi di fornitura di prodotti e servizi.
Micro e piccole imprese, le più coinvolte nella sospensione delle attività
Nella fase 1 (tra il 9 marzo e il 4 maggio), a sospendere l’attività è stato il 45,0% delle imprese con 3 e più addetti (458 mila, che assorbono il 27,5% degli addetti e realizzano il 18,0% del fatturato). Per il 38,3% (390 mila imprese) la decisione è stata presa a seguito del decreto del Governo mentre il 6,7% (68 mila) lo ha fatto di propria iniziativa.
“Sono invece il 22,5% (229 mila, che rappresentano il 24,2% degli addetti e il 21,2% del fatturato) le imprese che sono riuscite a riaprire prima del 4 maggio dopo un’iniziale chiusura, spiegando la decisione in diversi modi: a seguito di ulteriori provvedimenti governativi (8,8%), attraverso una richiesta di deroga (5,9%) o per decisione volontaria (7,7%)”.
La chiusura per settore
“A livello settoriale – si legge nella rilevazione – sono soprattutto le imprese delle costruzioni e dei servizi ad aver sospeso l’attività: rispettivamente il 58,9% e il 53,3% rispetto al 36,0% dell’industria in senso stretto e al 30,3% del commercio”.
“Nell’ambito dei servizi, quote particolarmente elevate di imprese chiuse durante il lockdown si riscontrano tra le agenzie di viaggio e tour operator (95,6%), nell’assistenza sociale non residenziale (91,6%), nelle attività creative ed artistiche (88,5%), sportive (87,2%) culturali, come biblioteche e musei (83,5%), nelle altre attività di servizi alla persona, come parrucchieri e centri benessere (80,9%), nei servizi di alloggio (79,2%) e ristorazione (76,8%) e nel settore dell’istruzione (71,7%)”.
“Il commercio è il comparto rimasto più attivo, con il 46,7% di imprese sempre operative nel corso del lockdown e il 23,1% che ha ripreso l’attività prima del 4 maggio”.
La chiusura per ripatizione territoriale
“Il Mezzogiorno e il Centro – riporta l’Istat – con il 48,7% e il 47,8% di imprese “sospese”, presentano valori superiori rispetto al Nord-ovest (44,4%) e soprattutto al Nord-est (39,0%), evidenziando un maggiore livello di chiusura nel corso del lockdown.
Perdita di fatturato per il 70% delle imprese
“Oltre il 70% delle imprese (che rappresentano il 73,7% dell’occupazione) dichiara una riduzione del fatturato nel bimestre marzo-aprile 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019: nel 41,4% dei casi il fatturato si è più che dimezzato, nel 27,1% si è ridotto tra il 10% e il 50% e nel 3% dei casi meno del 10%; nel’’8,9% delle imprese il valore del fatturato è invece rimasto stabile”.
In più, “il 14,6% delle imprese dichiara di non avere registrato alcun fatturato“. La quota sale sensibilmente se si considerano le attività sportive, di intrattenimento e divertimento (58,2%); le agenzie di viaggio e i tour operator (57,1%) e i servizi di alloggio (50,9%). Male anche per le imprese che si dedicano ad attività creative e artistiche (42,5%), le case da gioco (36,6%) e ai servizi di ristorazione (35,4%). Inoltre, non hanno registrato fatturato un quarto delle imprese degli altri servizi alla persona (28,9%), delle attività culturali (28,7%), dell’istruzione (26,3%) e dell’assistenza sociale non residenziale (24,8%).
Le precauzioni sanitarie delle imprese
Le imprese italiane hanno dichiarato una grande attenzione rispetto alle misure di precauzione sanitaria adottate per contrastare il diffondersi del virus. Solo il 2,9% delle imprese analizzate non ha predisposto alcuna misura.
In particolare, il 96,7% delle imprese ha adottato misure di sanificazione degli ambienti di lavoro e fornito dispositivi di protezione personale. “Nel 69,8% dei casi – si legge nel documento Istat – si sono messe in atto strategie informative o procedure di triage, nel 69,7% sono state previste forme di adattamento dell’organizzazione del lavoro e dei processi produttivi. Poco meno di due imprese su tre (65,9%) hanno definito misure legate ai protocolli sindacali e alla formazione”.
“Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19”.