A due settimane dalla fine del lockdown, ha riaperto l’82% delle imprese, ma nel settore ristorazione 1 attività su 4 è ancora chiusa. Pessimistiche le previsioni sul futuro: in tanti temono la chiusura. Questi i principali risultati dell’indagine sul post lockdown condotta dall’Ufficio Studi Confcommercio.
Dopo quasi due settimane dalla fine del lockdown, l’82% delle imprese ha riaperto, il 94% nell’abbigliamento e calzature, solo il 73% nella ristorazione e nei bar. Questi i principali risultati dell’Indagine “Le ri-aperture delle attività economiche dopo il 18 maggio 2020” condotta da Ufficio Studi Confcommercio su un campione di 759 mila imprese (principalmente micro-imprese fino a 9 addetti).
Obiettivo primario dello studio, quello di stabilire la quota delle imprese aperte alla fine del lockdown sul totale di quelle abilitate a riaprire il 18 maggio. Focus su tre macro-settori di attività: commercio al dettaglio di abbigliamento, altre attività del commercio al dettaglio e dei servizi e ristorazione e bar. Obiettivo secondario, quello di raccogliere le percezioni e le attese sul tenore del business, sugli ostacoli e sui nuovi costi per le imprese.
Due le possibili interpretazioni allo scenario appena descritto: positiva, se si pensa che rispetto alla settimana del 18 maggio, il numero di aperture continua a crescere; negativa, se si guarda al 18% di imprese che pur potendo riaprire hanno deciso di non farlo. La percentuale sale al 27% per l’area bar e ristoranti. Ad ostacolare la ripresa di questo tipo di attività, in particolare, i ritardi connessi all’adeguamento dei locali ai protocolli di sicurezza sanitaria.
Tante le preoccupazioni emerse dall’indagine, prime tra tutte quelle relative al giro d’affari: il 68% del campione di imprenditori dichiara che i ricavi delle prime due settimane sono inferiori alle aspettative, già particolarmente basse. “La stima delle perdite di ricavo rispetto ai periodi normali – si legge nell’indagine – per oltre il 60% del campione è superiore al 50%, con un’accentuazione dei giudizi negativi nell’area dei bar e della ristorazione”.
Emerge così il vero problema per le imprese: non tanto la riapertura, quanto lo spettro della chiusura connesso alla capacità di restare aperti nonostante l’insufficiente redditività.
Le percezioni degli imprenditori sul futuro, infatti, sono ampiamente pessimistiche: il 28% degli intervistati afferma che, in assenza di un miglioramento delle attuali condizioni di business, valuterà la definitiva chiusura dell’azienda nei prossimi mesi. Timori, questi, accompagnati dalla consapevolezza che per tirare avanti, in ogni caso, si dovrà ricorrere ad un prestito (50% del campione), anche perché non si sarà in grado di pagare i fornitori (40%) o di sostenere le spese fisse (43%).